Lucio Marà, pescatore giuliese
(una vita dedicata al mare)
Di Walter DE BERARDINIS
Un 73enne ancora con la voglia di fare, questo è in sintesi Lucio Marà, un giuliese che ha dedicato la sua vita al mare. Fin da ragazzo, cresciuto in una famiglia di pescatori, ha respirato l’aria di mare e tutto quello che ruotava in quel mondo.
Pescatore di professione, ha svolto il suo lavoro prima come dipendente e poi come armatore, sempre con un occhio attento alla sua famiglia. E’ anche un uomo che ha dedicato il suo tempo libero alla composizione di poesie e ultimamente alla pubblicazione di due libri narrativi, tutti accomunati dal filologico della vita di mare.
Nel 1986, per le edizioni Tracce di Pescara, pubblica “Quadre d’Autore” , una raccolta di poesie in vernacolo abruzzese, tutte composte nei primi anni ’80. Poi, negli anni successivi, partecipa a diversi concorsi di poesia, affermandosi sempre tra i primi posti. Subito dopo arrivano varie collaborazioni con enti pubblici e privati, con interviste in trasmissioni radio e Tv locali e nazionali, sempre per raccontare il “suo” mare e la sua amata Giulianova. Organizza e dirige il concorso di poesia dialettale “Lu mare nostre” sempre nella sua città ed ha diretto la Presidenza della locale sezione Marinai D’Italia. Nel 2005, per la collana abruzzese di studi storici, pubblica il suo primo libro narrativo dal titolo “Vita di Mare”, dove racconta tutta la sua vita. L’anno successivo, sempre per la stessa collana, pubblica “La casa sulla riviera”, altro originalissimo racconto ispirato dalla sua famiglia di pescatori. Recentemente, anche per le sue doti di esperto cuoco, è stato pubblicato “Pesci di Mare” per le Edizioni Media, un originale raccolta di ricette di cucina marinara.
Lucio, sei nato e vissuto in una famiglia di pescatori, quindi da piccolissimo hai respirato la vita di mare?
Certo, dopo 73 primavere, posso affermare che fin dalla tenera età ho respirato l’aria di mare. Mio padre Giuseppe era già un marinaio affermato, ed io andavo sempre al porto, anzi lo aiutavo pure nei suoi lavori, tanto che lui mi faceva trovare sempre qualcosa da mangiare, cioè le panocchie che tanto amavo. Intanto frequentavo le scuole ed arrivai fino al 2 avviamento professionale, poi mi aspettava il triennio per specializzarmi in meccanica o elettrotecnica, ma non avevo voglia di finire dentro un industria o un luogo chiuso, avevo già uno spirito libero, ero alla ricerca di luoghi da vivere. Pensi che neanche mio padre riusciva a domarmi, era finita la guerra, si stavano rivoluzionando anche i costumi, erano forti le contrapposizioni tra padre e figlio.
Tuo padre come la prese?
Mio padre, come del resto succedeva in quel periodo, insistette per farmi imparare un mestiere, ma a terra. Non voleva assolutamente che io facessi la vita del mare e mi fece entrare, ed io avevo solo 16anni, in un officina nautica a Giulianova, dei f.lli Giostra di San Benedetto del Tronto. Ma dopo un mese, visto che non c’erano speranze per emergere ed inoltre si prospettava l’idea di rimanere dentro quattro mura, decisi di imbarcarmi.
Come inizio la tua vita da marinaio?
Iniziai, come del resto fanno tutti, dal mozzo, per conto dell’armatore teramano, l’Avv. Nisii e dell’Ing. Falanga. Avevo già avuto l’esperienza con la barca di mio padre, dopo la licenza di 5° elementare, per premio mi imbarco sulla sua nave con destinazione Ancona per fare dei lavori di manutenzione. Fu un esperienza che non dimenticherò facilmente, poi arrivare in un vero porto, come fu quello di Ancona, la cosa mi inorgoglii tanto. Intanto, nell’agosto del 1950, mi imbarcai con la Santa Rita, una barca di 35 tonnellate, il Capitano era mio zio, Marino Marà.
Ci sono stati momenti difficili, dove hai rischiato la vita?
Chi sceglie di fare questa vita, lo sapeva fin dal primo giorno d’imbarco, forse adesso la sicurezza è aumentata, ma il mare certe volete è crudele. Pensa che una notte dovetti scendere con un alto marinaio a recuperare un nostro battello alla deriva, una volta raggiunto il battello, con il mare sempre più agitato e la pioggia fitta il mio collega perse il remo e noi finimmo in balia delle onde. Fu mio Zio che, con una mossa spericolata, comincio a girare intorno a noi fino ad issarci sani salvi. Non dimenticherò il mio compagno che invocava i Santi ed io del resto ringraziai il Buon Dio.
Com’era una giornata tipo?
Si partiva alla mezzanotte, la navigazione durava da un minimo di un’ora fino alle 4 ore per raggiungere la zona di pesca. Una volta sul posto, i marinai più anziani avevano le loro tecniche per individuare i banchi di pesce. Non come oggi che hanno tutte le minime attrezzature per vedere i fondali, le temperature e i pesci sui computer di bordo. Tirate le reti a bordo, il pesce veniva lavato e stoccato dentro le stive con il ghiaccio, però senza metterlo a contatto con il pesce, per non farlo rovinare. Dopo varie pescate, si tornava in porto, dove veniva conferito su questi vecchi camion Fiat, peri poi prendere la via dei mercati generali, in quel periodo andava forte la piazza di Roma.
Poi arrivò la chiamata per le armi?
Si! Fu una bella esperienza, arruolato nella Marina Militare Italiana nel 1954, prima a Taranto e poi a La Spezia per il corso di Motorista Navale, fui destinato all’Incrociatore Garibaldi, dopo 26 mesi di onorato servizi tornai a casa.
Al ritorno ritornasti subito in mare?
Certo, era tanta la voglia di rivedere il mio mare. Ma presi anche la decisione di solcare il mediterraneo centrale. Mi imbarcai con l’Elvira Madre. Non dimenticherò mai la sera della partenza, cenai con i miei in una atmosfera triste, con mia madre che piangeva. Il giorno successivo partimmo con destinazione verso le coste africane, nel cuore del mediterraneo. Non scorderò lo sbarco, al porto di Biserta in Tunisia, un porto di mare dal ricco passato storico. L’anno successivo tornammo a pescare nell’adriatico e una volta dovemmo rifugiarci,l per il maltempo, nel golfo di Rogoznica, oggi costa croata, ma all’ora era la Repubblica Socialista Federale Jugoslava. Successivamente ritornai sul mediterraneo, nelle zone di Tabarka in Algeria e poi Le Galite in Tunisia. Sbarcai alla fine del 1961, dopo quattro anni come direttore di macchina.
Poi sei diventato armatore?
Acquistai, usata, la Santa Maria II° dopo averci messo tutti i miei risparmi, poi arrivò il varo della mia nuovissima barca, il Giuseppe Padre, in onore di mio padre. Poi ci fu una breve parentesi con grosse navi nell’Atlantico e al rientro, con altri parenti, presi una barca più grande il Sant’Amelia e poi varai il Francesco-Giuseppe.
Nei primi anni ’80 il porto di Giulianova, come del resto la marineria dell’adriatico centrale conosce una crisi, tu come hai vissuto quei periodi?
La crisi impaurì anche me, le grandi famiglie di armatori giuliesi, visto l’andamento, cominciarono a vendere i loro pescherecci, anticipando per molti pescatori il prepensionamento. Anche io decisi di vendere, era il 1982, con me finiva l’ultracentenaria esperienza dei Marà, iniziata dal capostipite Andrea. Poi, ci fu una parentesi con la Linda II°, ma nel 2004, a 70anni decisi di aderire ai fondi comunitari per la dismissione delle barche da pesca. Quel giorno piansi amaramente.
Lucio, cosa ti resta dell’esperienza di mare?
Oggi, come altri pescatori in pensione, un paio di volte al giorno, vado al porto, a piedi o in bicicletta, ad ammirare i pescherecci all’ormeggio o le onde che si infrangono sulla scogliera. Mi fermo a parlare volentieri con i vecchi marinai, mentre con i giovani mi prodigo in consigli e spiegazioni, sempre timoroso di apparire invadente e saccente. Mi basta essere stato uno di loro.
Per chiudere vuole aggiungere un suo pensiero?
Credo che sia doveroso ricordare chi è morto per fare questo lavoro. Nella mia memoria ritornano in mente molti giuliesi che sono partiti da questo porto con le loro imbarcazioni mai poi non hanno fatto più ritorno: Carmine (Carminuccio Lu Silvarol’) scomparso nel 1942; Mario Costantini (Mario Lu P’scares’) disperso nel 1948; Donato Cartone (Dunat’d’Cazzill’) scomparso nel 1957; Giancarlo Cirillo disperso nel 1957; Umberto Palestini (butt’jò) disperso nel 1960; Umberto Marà (Mbertin’d’C’nnò) disperso nel 1962; Mario Granato (Mario Lu napuletan’) disperso nel 1968; Umberto Fortunato (Sciascianà) scomparso nel 1970; Ernani Capriotti nel 1980; poi la tragedia dell’Angelo Padre nel 1982 con la morte di: Gabriele Marchetti (Nino d’Talucce), Nicola Gualà e Giuseppe Gualà; Franco Magitti (p’lò) nel 1988; La tragedia del Freccia Nera del 1995 con la morte di Lorenzo e Giorgio Serafini (Lurenz’d’tr’ntatre e Giorgje d’lurenz’).
(una vita dedicata al mare)
Di Walter DE BERARDINIS
Un 73enne ancora con la voglia di fare, questo è in sintesi Lucio Marà, un giuliese che ha dedicato la sua vita al mare. Fin da ragazzo, cresciuto in una famiglia di pescatori, ha respirato l’aria di mare e tutto quello che ruotava in quel mondo.
Pescatore di professione, ha svolto il suo lavoro prima come dipendente e poi come armatore, sempre con un occhio attento alla sua famiglia. E’ anche un uomo che ha dedicato il suo tempo libero alla composizione di poesie e ultimamente alla pubblicazione di due libri narrativi, tutti accomunati dal filologico della vita di mare.
Nel 1986, per le edizioni Tracce di Pescara, pubblica “Quadre d’Autore” , una raccolta di poesie in vernacolo abruzzese, tutte composte nei primi anni ’80. Poi, negli anni successivi, partecipa a diversi concorsi di poesia, affermandosi sempre tra i primi posti. Subito dopo arrivano varie collaborazioni con enti pubblici e privati, con interviste in trasmissioni radio e Tv locali e nazionali, sempre per raccontare il “suo” mare e la sua amata Giulianova. Organizza e dirige il concorso di poesia dialettale “Lu mare nostre” sempre nella sua città ed ha diretto la Presidenza della locale sezione Marinai D’Italia. Nel 2005, per la collana abruzzese di studi storici, pubblica il suo primo libro narrativo dal titolo “Vita di Mare”, dove racconta tutta la sua vita. L’anno successivo, sempre per la stessa collana, pubblica “La casa sulla riviera”, altro originalissimo racconto ispirato dalla sua famiglia di pescatori. Recentemente, anche per le sue doti di esperto cuoco, è stato pubblicato “Pesci di Mare” per le Edizioni Media, un originale raccolta di ricette di cucina marinara.
Lucio, sei nato e vissuto in una famiglia di pescatori, quindi da piccolissimo hai respirato la vita di mare?
Certo, dopo 73 primavere, posso affermare che fin dalla tenera età ho respirato l’aria di mare. Mio padre Giuseppe era già un marinaio affermato, ed io andavo sempre al porto, anzi lo aiutavo pure nei suoi lavori, tanto che lui mi faceva trovare sempre qualcosa da mangiare, cioè le panocchie che tanto amavo. Intanto frequentavo le scuole ed arrivai fino al 2 avviamento professionale, poi mi aspettava il triennio per specializzarmi in meccanica o elettrotecnica, ma non avevo voglia di finire dentro un industria o un luogo chiuso, avevo già uno spirito libero, ero alla ricerca di luoghi da vivere. Pensi che neanche mio padre riusciva a domarmi, era finita la guerra, si stavano rivoluzionando anche i costumi, erano forti le contrapposizioni tra padre e figlio.
Tuo padre come la prese?
Mio padre, come del resto succedeva in quel periodo, insistette per farmi imparare un mestiere, ma a terra. Non voleva assolutamente che io facessi la vita del mare e mi fece entrare, ed io avevo solo 16anni, in un officina nautica a Giulianova, dei f.lli Giostra di San Benedetto del Tronto. Ma dopo un mese, visto che non c’erano speranze per emergere ed inoltre si prospettava l’idea di rimanere dentro quattro mura, decisi di imbarcarmi.
Come inizio la tua vita da marinaio?
Iniziai, come del resto fanno tutti, dal mozzo, per conto dell’armatore teramano, l’Avv. Nisii e dell’Ing. Falanga. Avevo già avuto l’esperienza con la barca di mio padre, dopo la licenza di 5° elementare, per premio mi imbarco sulla sua nave con destinazione Ancona per fare dei lavori di manutenzione. Fu un esperienza che non dimenticherò facilmente, poi arrivare in un vero porto, come fu quello di Ancona, la cosa mi inorgoglii tanto. Intanto, nell’agosto del 1950, mi imbarcai con la Santa Rita, una barca di 35 tonnellate, il Capitano era mio zio, Marino Marà.
Ci sono stati momenti difficili, dove hai rischiato la vita?
Chi sceglie di fare questa vita, lo sapeva fin dal primo giorno d’imbarco, forse adesso la sicurezza è aumentata, ma il mare certe volete è crudele. Pensa che una notte dovetti scendere con un alto marinaio a recuperare un nostro battello alla deriva, una volta raggiunto il battello, con il mare sempre più agitato e la pioggia fitta il mio collega perse il remo e noi finimmo in balia delle onde. Fu mio Zio che, con una mossa spericolata, comincio a girare intorno a noi fino ad issarci sani salvi. Non dimenticherò il mio compagno che invocava i Santi ed io del resto ringraziai il Buon Dio.
Com’era una giornata tipo?
Si partiva alla mezzanotte, la navigazione durava da un minimo di un’ora fino alle 4 ore per raggiungere la zona di pesca. Una volta sul posto, i marinai più anziani avevano le loro tecniche per individuare i banchi di pesce. Non come oggi che hanno tutte le minime attrezzature per vedere i fondali, le temperature e i pesci sui computer di bordo. Tirate le reti a bordo, il pesce veniva lavato e stoccato dentro le stive con il ghiaccio, però senza metterlo a contatto con il pesce, per non farlo rovinare. Dopo varie pescate, si tornava in porto, dove veniva conferito su questi vecchi camion Fiat, peri poi prendere la via dei mercati generali, in quel periodo andava forte la piazza di Roma.
Poi arrivò la chiamata per le armi?
Si! Fu una bella esperienza, arruolato nella Marina Militare Italiana nel 1954, prima a Taranto e poi a La Spezia per il corso di Motorista Navale, fui destinato all’Incrociatore Garibaldi, dopo 26 mesi di onorato servizi tornai a casa.
Al ritorno ritornasti subito in mare?
Certo, era tanta la voglia di rivedere il mio mare. Ma presi anche la decisione di solcare il mediterraneo centrale. Mi imbarcai con l’Elvira Madre. Non dimenticherò mai la sera della partenza, cenai con i miei in una atmosfera triste, con mia madre che piangeva. Il giorno successivo partimmo con destinazione verso le coste africane, nel cuore del mediterraneo. Non scorderò lo sbarco, al porto di Biserta in Tunisia, un porto di mare dal ricco passato storico. L’anno successivo tornammo a pescare nell’adriatico e una volta dovemmo rifugiarci,l per il maltempo, nel golfo di Rogoznica, oggi costa croata, ma all’ora era la Repubblica Socialista Federale Jugoslava. Successivamente ritornai sul mediterraneo, nelle zone di Tabarka in Algeria e poi Le Galite in Tunisia. Sbarcai alla fine del 1961, dopo quattro anni come direttore di macchina.
Poi sei diventato armatore?
Acquistai, usata, la Santa Maria II° dopo averci messo tutti i miei risparmi, poi arrivò il varo della mia nuovissima barca, il Giuseppe Padre, in onore di mio padre. Poi ci fu una breve parentesi con grosse navi nell’Atlantico e al rientro, con altri parenti, presi una barca più grande il Sant’Amelia e poi varai il Francesco-Giuseppe.
Nei primi anni ’80 il porto di Giulianova, come del resto la marineria dell’adriatico centrale conosce una crisi, tu come hai vissuto quei periodi?
La crisi impaurì anche me, le grandi famiglie di armatori giuliesi, visto l’andamento, cominciarono a vendere i loro pescherecci, anticipando per molti pescatori il prepensionamento. Anche io decisi di vendere, era il 1982, con me finiva l’ultracentenaria esperienza dei Marà, iniziata dal capostipite Andrea. Poi, ci fu una parentesi con la Linda II°, ma nel 2004, a 70anni decisi di aderire ai fondi comunitari per la dismissione delle barche da pesca. Quel giorno piansi amaramente.
Lucio, cosa ti resta dell’esperienza di mare?
Oggi, come altri pescatori in pensione, un paio di volte al giorno, vado al porto, a piedi o in bicicletta, ad ammirare i pescherecci all’ormeggio o le onde che si infrangono sulla scogliera. Mi fermo a parlare volentieri con i vecchi marinai, mentre con i giovani mi prodigo in consigli e spiegazioni, sempre timoroso di apparire invadente e saccente. Mi basta essere stato uno di loro.
Per chiudere vuole aggiungere un suo pensiero?
Credo che sia doveroso ricordare chi è morto per fare questo lavoro. Nella mia memoria ritornano in mente molti giuliesi che sono partiti da questo porto con le loro imbarcazioni mai poi non hanno fatto più ritorno: Carmine (Carminuccio Lu Silvarol’) scomparso nel 1942; Mario Costantini (Mario Lu P’scares’) disperso nel 1948; Donato Cartone (Dunat’d’Cazzill’) scomparso nel 1957; Giancarlo Cirillo disperso nel 1957; Umberto Palestini (butt’jò) disperso nel 1960; Umberto Marà (Mbertin’d’C’nnò) disperso nel 1962; Mario Granato (Mario Lu napuletan’) disperso nel 1968; Umberto Fortunato (Sciascianà) scomparso nel 1970; Ernani Capriotti nel 1980; poi la tragedia dell’Angelo Padre nel 1982 con la morte di: Gabriele Marchetti (Nino d’Talucce), Nicola Gualà e Giuseppe Gualà; Franco Magitti (p’lò) nel 1988; La tragedia del Freccia Nera del 1995 con la morte di Lorenzo e Giorgio Serafini (Lurenz’d’tr’ntatre e Giorgje d’lurenz’).
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