sabato 14 febbraio 2009

Francesco Manocchia, giornalista e scrittore (ricordo di Lino Manocchia e Sandro Galantini)




Ricordi del passato

MIO PADRE : FRANCESCO MANOCCHIA
di Lino Manocchia
New York.Era l’una e un quarto del 29 febbraio 1944, un anno bisestile maledetto.Il sole,malgrado la stagione, riscaldava Giulianova,paese abruzzese,che veniva scosso,ancora una volta da una inaudita ondata di bombe lanciate dagli aerei inglesi,che in
breve lasciavano resti di macerie fumanti di case e persone.
Tra questi poveri corpi senza vita, c’era mio padre Francesco -55 anni-colpito alla fronte da una scheggia, e mio fratello minore Benito punteggiato da 13 scheggie di proiettili,lungo il corpo.
Francesco Manocchia,che Benito Mussolini e gli amici chiamavano
cordialmente “Francescuccio” era nato il 6 marzo 1889 da Lucia Macellaro e Pasquale Manocchia,di modeste condizioni sociali ed economiche. Forse non sarebbe stato ucciso da proiettili nemici, se nostra nonna Lucia non lo avesse convinto a non andare in America, su richiamo dei miei due zii di Pittsburg,ma a papa’ premeva piu’ la famiglia che una nuova vita nell’altro pianeta,e il consiglio della nonna fu accolto favorevolmente.
La sua vita fu una cornucopia di vicende politiche,professionali che
lo seguirono sino al suo tragico trapasso in quell’anno bisestile. Spesso lo seguivo in qualche battuta di caccia leggera ,ma lui che era un tiratore scelto confessava di preferire le saettanti beccacce e le pernici.
Mio padre era nato con la penna da scrivere nelle mani.A 18 anni era redattore de “La Provincia”,settimanale politico amministrativo di
Francesco Vicoli.Due anni dopo a Genova in uniforme di sott’ufficiale di Fanteria svolgeva una intensa attivita’militare vincendo anche tre medaglie d’oro (scherma,salto e disco) una delle quali vendetti all’orefice per 90 lire che consegnai a mio padre sorpreso ma pronto ad andare a comperare un bel torrone. Volontario in Libia ritorna da Tobruck a Giulianova per abbracciare mamma Lucia e quindi ripartire per il fronte. Nel giugno 1915 sulle colline di Selts,per atti valorosi viene nominato ufficiale dal Maresciallo d’Italia Cadorna che offre sentimenti di sincera stima. (Ricordo a Giulianova c’erano due o tre anziani che facevano a gara per andare a trovargli i vermi per l’esca delle anguille che amava pescare nel fiume Tordino. D’estate dopo il pranzo soleva compiere una passeggiata in campagna con me ,a scovare gli asparagi, mentre,confesso, avrei preferito dare quattro calci al pallone fatto con i copertoni delle biciclette, anche se mio fratello Franco era negato per la palla.
Da bambino nutrivo la speranza di diventare prete. Avevo anche un altarino dove spesso recitavo la Messa.Un giorno a Roma,mio padre, che conosceva bene il Cardinale Ascalesi ,(del Trattato Lateranense) gli espose il mio desiderio. Il prelato su un suo biglietto personale scrisse al Vescovo di Teramo di ammettermi gratis sino al raggiungimento del sacerdozio. Francescuccio,che il cardinale chiamava “la mitragliatrice”, non ci vide piu’’”Diventerai Cardinale mi diceva, io saro’ il tuo sacrestano.” Studiai due anni in Seminario ma ben presto il pensiero sfumo’.Non ebbi mai modo di conoscere il suo disappunto...o soddisfazione della “debacle” giovanile.
Francesco Manocchia era un padre premuroso. Di ritorno dalla partita serale con gli amici, poneva sui nostri comodini cioccolatini, caramelle e paste del famoso Germano.Era una magnifica “Befana” per tutte le stagioni. Ma guai se mio fratello Franco-che si alzava alle sei, per procurarsi una grossa fetta di pane con l’olio e pomodoro “razziava” anche il dolce di nostro padre !
Francesco Manocchia deciso, coraggioso in trincea durante sanguinosi attacchi guidati dal capitano Aprosio, riporto’ ferite e tra l’altro perse l’amata sorella Ida afflitta da un male incurabile. Per la sua convalescenza venne inviato ad Arezzo,San Giovanni Valdarno, e Montepulciano dove scrisse “I comandamenti del 1918”stampato in oltre 25 mila esemplari, ed una commedia in tre atti che gli fece conoscere Filomena Spadacci, una graziosa ragazza di origini senesi,che sposera’ a Torrita di Siena nel 1920.
La “Signorina Bonella” stampata in 6 mila esemplari,valse a mio padre il secondo posto nel Congresso Drammatico italiano con a capo il gigante della letteratura Luigi Pirandello. AL TAVOLO)
Qualche anno dopo Giacomo Acerbo, deputato al parlamento, quindi Presidente del Consiglio,nonche’ mio padrino di cresima, firmo’ la prefazione del libro”Salmi della Patria” dedicato ai giuliesi caduti nella Grande Guerra.
La carriera giornalistica di mio padre sembra non abbia mai fine. Oratore forbito,era un miscela esplosiva di estro, calcolo e impulsivita’,rifiuto’ incarichi politici salvo quello di segretario dei combattenti abruzzesi.”La sua coerenza,praticata con l’ingenua costanza propria dell’intellettuale,offre una visione romantica della vita, tanto diffusa dello scrittore Manocchia”, afferma lo storico Sandro Galantini, e crediamo, abbia centrato meglio di ogni altra cosa il carattere, la tenacia,la volonta’ di arrivare di mio padre, sul cui capo mulinava un cervello che ignorava il riposo. Un giorno,ricordo –avevo appena 18 anni- scrissi il mio primo articolo sulla “Maggiolata” di Giulianova, purtroppo fallii il colpo, e lui, guardandomi pietosamente disse: ”Cerca un’altra via.Il giornalismo non ti fara’ mai ricco.”
Vorrei tanto che mio padre mi vedesse oggi. Godrebbe senza dubbio del successo di suo figlio, nella nazione che l’ospita,ed ora sta per raggiungere il grande traguardo della vita’. Chissa’ se nell’al di la’ lo potro’ incontrare. Avremmo tante cose da dirci.
FRANCO E BENITO
Sono i figli giovani della famiglia, i quali adoravano il genitore che li seguiva con una pazienza certosina. Franco,studente a Teramo, dopo la laurea si dedico’ al giornalismo concludendo, la sua brillante carriera, nella redazione del Corriere della Sera, scrivendo servizi che riscossero anche il plauso di Dino Buzzati, che lo stimava. A scuola il professore ogni tanto riferiva, impensierendo ovviamente il genitore: “Franco non apre mai il libro. Ascolta la lezione, l’indomani la recita meglio dell’originale”. Buon sangue non mente.
Benito che gli americani chiamano “Benny” e’ stato corrispondente, dagli Stati Uniti, per 26 anni, della Rusconi effettuando servizi di vasta portata. Era il cucciolo di mamma, non che babbo lo ignorasse, ma di solito gli ultimi arrivati hanno quasi sempre quel “privilegio”.
materno. Era un pessimo terzino della squadra scolastica e di tanto in tanto tornava a casa con le scarpe rovinate.Da grande voleva diventare campione di pugilato. Ci provo’, una volta in America, ma i pugni, disse, non li considero miei amici.”
LINO MANOCCHIA

L'impegnata vicenda di Francesco Manocchia,
scrittore e giornalista (*)
di Sandro Galantini
Nel 1890 Giulianova, con i suoi oltre 6 mila abitanti1, è una località ancora profondamente agricola e conserva tenacemente il proprio ruolo egemonico in collina, sebbene sia percorsa da una forte trasformazione e non manchino significativi esempi di modernizzazione, soprattutto nella sua parte litoranea. «Questo Comune – dichiara infatti al Consiglio Francesco Ciafardoni il 26 novembre 1890 in occasione della sua riconferma a sindaco disposta dal re – si è trasformato e si va trasformando ogni giorno, migliorando se stesso per forza di espansione, insita in ogni progresso»2. Mentre la locale intellighenzia, dopo la breve ma gloriosa stagione del “Doctor Faust”, è tornata a coagularsi intorno a Francesco Contaldi, che insieme con l’avvocato e letterato Battista De Luca aveva dato vita nel 1888 alla “Rivista Minima”3, nuovo tentativo di attivare da Giulianova un proficuo dialogo con la migliore cultura coeva, la minuta ma non insignificante maglia di attività imprenditoriali conosce un momento di interessante vivacità. Accanto ed in aggiunta alle tradizionali attività di Erminio Orsini (che dal suo stabilimento ancora ubicato nella parte alta della città produce una serie di liquori ampiamente diffusi e ricercati, dal tradizionale doppio arancio al mandarino, dagli alchermes alle anisette), dei fratelli Valentini, che oltre alla produzione di gassose associano la lavorazione di cappelli in paglia, dello ‘speziale’ e chimico Pasquale De Martiis (il cui Stabilimento chimico-farmaceutico, realizzato sullo scorcio del 1879, si è di molto ampliato), del conte Girolamo Acquaviva d’Aragona, con la liquirizia prodotta dagli impianti dell’ex conceria dei Comi (dove ora è la Casa Maria Immacolata)4, accanto a queste attività dicevamo, proprio il 13 giugno del 1890 il dinamico Luigi Crocetti costituisce una società anonima in nome collettivo con capitale di 15 mila lire per la costruzione di una fornace Hoffmann, una delle primissime in Abruzzo, destinata alla sua fabbrica di mattonelle in cemento realizzata nel 1888 in un’area a circa 500 metri a settentrione della stazione ferroviaria, a valle dell’attuale via Montello.
Ebbene è in questo contesto che il 6 marzo del 1890, dal calzolaio Pasquale Manocchia e da Lucia Macellaro, nasce Francesco.
La modesta condizione sociale ed economica della famiglia tuttavia non inibisce a Francesco Manocchia di percorrere un ‘iter’ biografico estremamente peculiare, ricco com’è di irrequietezze culturali e di autonome acquisizioni. Non sarà l’impianto scolastico di base, con i tradizionali (e certamente carenti) insegnamenti a fertilizzare la sua operosa vicenda, tanto più che a interrompere drammaticamente gli studi del giovane Francesco saranno alcune gravi disgrazie di famiglia. Sarà piuttosto un endogeno desiderio di conoscenze, guidato e sovente alimentato proprio da quel Battista De Luca voluto dal Contaldi al suo fianco nella direzione della “Rivista Minima”, ad emanciparlo dalle strette di una cultura pedissequamente attestata su posizioni di retroguardia e a stimolare una serie di precoci ‘conquiste’ sul versante giornalistico prima, e letterario in seguito.
Risale al 1908 la prima qualificata partecipazione di Francesco Manocchia all’attività giornalistica. A soli diciotto anni il Manocchia, che pure dirige la casa editrice pescarese “Industrie Grafiche Abruzzesi”, è redattore capo de “La Provincia”, il settimanale politico-amministrativo-commerciale di Chieti diretto da Vincenzo Vicoli che dopo aver cessato le pubblicazioni nel 1907 aveva ripreso la sua attività il 16 dicembre 19085. Due anni dopo il Manocchia è a Genova, sottufficiale di Fanteria. Nella città ligure accanto ad un’intensa attività militare – qui infatti vince il concorso ginnico-militare facendo conseguire al suo reggimento ben tre medaglie d’oro nelle gare di scherma, di salto e di lotta greco-romana – ha modo di collaborare col quotidiano locale “Il Caffaro”, al quale continuerà ad inviare i suoi scritti in qualità di corrispondente di guerra all’indomani della sua partenza per la Libia, volontario in un reggimento misto agli ordini del colonnello Luigi Gonzaga. Tornato da Tobruk e dopo una breve permanenza a Genova – dove, sempre dalle pagine de “Il Caffaro”, sostiene una dura polemica in difesa del generale Pecori Girali – passa prima a Cremona, qui legandosi in rapporti di affettuosa amicizia con il dotto latinista canonico Angelo Berenzi, e quindi a Vicenza, dove conosce il celebre prof. Caldara e inizia le sue collaborazioni prima con il locale “Corriere Vicentino” e poi con “l’Adige” di Verona.
Sin da ora appare agevole intuire come attività giornalistica ed impegno militare si fondano in un solido avviluppo nella vicenda biografica di Francesco Manocchia. Ma anche la successiva attività editoriale e quella politica del Nostro saranno coerentemente connotate da un sistema valoriale alimentato da questo, chiamiamolo così, ‘retroterra’. Non deve stupire infatti se alla vigilia della Grande Guerra il nostro Manocchia è tra i più attivi interventisti, inserito in quell’embrione di gruppo nazionalista che a Pescara si raccoglie intorno ai tre fratelli Cascella, cioè Basilio Michele e Tommaso, a Valentino Mirra e Ludovico D’Anchino6. Sarà proprio a fianco di Mirra, di Vicentino Michetti e di uomini ora interventisti ma sino a poco tempo prima esponenti di primo piano dell’estrema sinistra – nello specifico il ‘sovversivo’ Verildo Sorrentino e l’ex socialista Ettore Manetti – che Francesco Manocchia tiene il 7 marzo del 1915 un applaudito comizio al teatro Michetti di Pescara7. Il 22 maggio successivo Manocchia, dopo essere tornato otto giorni prima nella sua Giulianova per riabbracciare la madre, è di nuovo a Pescara, a concludere una defatigante serie di infiammati discorsi di chiaro sapore nazionalista e interventista tenuti un po’ ovunque nell’Abruzzo costiero e nel chietino con l’ennesimo comizio dal balcone del Circolo Aternino, stavolta avendo al suo fianco – oltre ai soliti Mirra e Sorrentino – un nome emblematico della locale militanza repubblicana, quello di Salvatore Capuani, oratore di rara efficacia scopertosi anche lui interventista in queste ‘radiose giornate di maggio’8.
Tornato ad indossare la vecchia divisa, Manocchia lascia l’Abruzzo per Porto San Giorgio, aggregandosi al 17° Fanteria in partenza per il fronte. Nel giugno 1915 sulla collina del Seltz merita, per atti d’eroismo, un encomio solenne e la nomina ad ufficiale, da lui rifiutata. Lo stesso Maresciallo d’Italia Cadorna coglie più volte l’occasione di tributargli sentimenti di sincera stima. Per tutta la durata della guerra Francesco Manocchia invierà resoconti al “Giornale d’Italia”, all’”Adige” di Verona, al “Corriere Vicentino”, alla “Provincia” di Arezzo, al “Caffaro” di Genova, e per la sua regione ai chietini ”L’Indipendente”9 e “La Provincia” e al settimanale teramano “L’Attualità” diretto da G. Di Orazio10, cui si aggiungeranno, quando il Nostro verrà trasferito in Trentino con il 70° Fanteria, le corrispondenze per il “Piccolo” di Venezia e per il prestigioso “Corriere della Sera”.
Uno straordinario attivismo che fa pendant con le iniziali produzioni letterarie. E’ il 1916 quando, per i tipi de “La Fiorita” (la nota rivista teramana diretta da Croce Crucioli) esce, con prefazione del maggiore Ugo Bibolini, Scene di guerra: dramma in un atto e monologo, un bozzetto drammatico rappresentato alla Casa del Soldato di Ascoli Piceno, dove il Manocchia si trovava in licenza a seguito di una malattia. Da Ascoli il Nostro ritorna in trincea, combattendo alla guida del suo plotone di soldati abruzzesi – i diavoli gialli – in una serie di sanguinosi attacchi guidati dal capitano Aprosio. Per le ferite riportate il giornalista e soldato giuliese – che in questo periodo oltretutto perde l’unica sorella Ida – viene dapprima ricoverato in un ospedale da campo, passando poi a Vicenza e infine, per la convalescenza, ad Arezzo. Nella città toscana ha modo di legarsi ad affettuosa amicizia con il vescovo locale Giovanni Volpi e tiene, su incarico del generale comandante del presidio aretino, un ciclo di conferenze al Deposito del capoluogo e poi, una volta chiamato al Comando della divisione di Firenze, presso i distaccamenti militari di Empoli, Savigliana, S. Giovanni Valdarno, Montevarchi, Vinci e Montepulciano. Frutto di questo suo impegno è un opuscolo di evidente carattere patriottico, I comandamenti del 1918, che l’Editore Benucci di Arezzo stampa in quell’anno in ben 25 mila esemplari, ed un libretto – al momento per noi introvabile – dal titolo Al nostro Re Soldato.
Di ben altro spessore è la commedia in tre atti , elaborata dal Manocchia durante la sua permanenza in terra toscana e ispiratagli da una giovane ragazza di origini senesi, Filomena Spaducci, che il giuliese sposerà a Torrita di Siena il 7 giugno 1920. La commedia, in seguito stampata in 5 mila esemplari dalla milanese Società dei Giovani Autori11 e quindi rappresentata con successo a Genova e Giulianova, vale al Manocchia il secondo posto su 210 concorrenti nel Concorso Drammatico Italiano di Roma insieme con il lusinghiero giudizio della commissione esaminatrice composta da due giganti della letteratura come Luigi Pirandello e il crepuscolare Fausto Maria Martini, nonché dal celebre critico Adriano Tilgher, per i quali l’opera del neppure trentenne scrittore giuliese è un favola «tenue e graziosa, svolta con garbo e naturalezza, con grazia delicata sottile di dialoghi, con dolcezza di tocchi».
Agli inizi del 1919, ormai congedatosi, il Manocchia è a Milano dove respira il clima violento del primo dopoguerra. Nella capitale meneghina collabora per un breve periodo con il neonato “L’Italia antibolscevica”12 e poi, entrato in relazione con il Vicentini, segretario di redazione del “Popolo d’Italia” (il noto quotidiano di Benito Mussolini che a partire dal gennaio 1919 andava coagulando i futuristi e gli arditi in funzione antisocialista e controrivoluzionaria), ottiene da Arnaldo Mussolini l’incarico di corrispondente per la provincia di Teramo.
Tornato nella primavera del ’19 a Giulianova, il Manocchia si inserisce a pieno titolo e con la passione che gli è propria nella vivace vita politica cittadina, destinata di qui a non molto a radicalizzarsi in feroci e violente giustapposizioni tra socialisti e nazionalisti13. Insieme con l’avvocato e giornalista Livio De Luca e coadiuvato da alcuni esponenti della Società Operaia di mutuo soccorso ed ex consiglieri durante il primo sindacato De’ Bartolomei, Serafino Morganti, Giulio Di Michele, Giulio De Luca e Celio Caravelli, Francesco Manocchia costituisce nell’ottobre 191914 – dopo che il solito Vicentini con una lettera del 27 settembre gli aveva sconsigliato di partire alla volta di Fiume per raggiungere D’Annunzio - la locale sezione combattenti, della quale assume la segreteria politica, e contestualmente, a sue spese, stampa un bisettimanale dal titolo “La libera parola”, dalle cui colonne attaccherà con vigore l’opposto schieramento sostenendo la candidatura di Giacomo Acerbo15 .
Nel 1921 sarà proprio Acerbo, ora deputato al Parlamento e di qui a non molto potentissimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a firmare la Prefazione a Salmi della Patria. In memoria dei nostri eroi, una raccolta di versi dedicata da Francesco Manocchia ai giuliesi morti nella Grande Guerra uscita in volume nel settembre di quell’anno presso la Tipografia del Commercio di Francesco Pedicone.
«Questi deliziosi e forti Salmi […], dal sapore veramente biblico, dalla fattura letterariamente squisita, hanno una potenza suggestiva che non può non far fremere d’amore le ossa dei Morti e d’orgoglio gli spiriti dei Superstiti, che ricordano; dei Superstiti – continua iperbolico l’Acerbo nella Prefazione -, che hanno compreso e che comprendono». Sempre nel 1921 lo scrittore giuliese inizia a collaborare alla rassegna letteraria mensile “Il Compendio” con alcuni suoi brevi racconti, novelle e poesie (è in questa rivista che viene ospitata una anticipazione del lavoro Quando c’era la guerra, in seguito pubblicato in volume16 ), mentre sul versante più squisitamente giornalistico si impegna in una serie di corrispondenze per il “Mattino” di Napoli, “L’Ordine” di Ancona e per altri organi di stampa stranieri, come “L’Unione” di Parigi ed il quotidiano statunitense “New York Herald”. Pure in quest’anno ha modo di evidenziare le sue doti di organizzatore come responsabile dell’Ufficio stampa per l’Esposizione artistica regionale organizzata nell’odierna Pescara da Luigi Caporale, primo nucleo di quella che sarà la celebre Settimana Abruzzese organizzata in quella città a partire dal 1923 dal giornalista di Loreto Aprutino e direttore de “L’Idea Abruzzese” Zopito Valentini in collaborazione con Ettore Moschino, Basilio Cascella e Luigi Antonelli17.
La sua adesione al Fascismo – che risale al 14 ottobre 1922, l’anno in cui il Manocchia collabora con racconti e poesie a “L’Abruzzo”, la rivista ad indirizzo storico-letterario fondata da Giuseppe Javicoli e diretta da Ernesto Capuano18, ma anche col settimanale politico “L’Aquila” diretto dal mutilato Archimede Ruggieri, del quale è il corrispondente da Giulianova19 – conclude e, bisogna ammetterlo, suggella coerentemente tutta una vicenda connotata da quelle tappe fondamentali che, seppure in maniera cursoria, sono state comunque sin qui evidenziate. Da questo momento in poi il Manocchia sostanzialmente abbandonerà la politica attiva – volendo eccettuare l’incarico di capo ufficio stampa conferitogli nell’agosto 1923 da Giacomo Acerbo in occasione della venuta a Castellammare Adriatico di Mussolini, ed altri adempimenti svolti a favore dell’associazioni combattenti - per dedicarsi esclusivamente all’attività giornalistica e soprattutto a quella letteraria. D’altronde il fascismo di Manocchia non è un fascismo violento e squadrista, né tantomeno un fascismo ‘interessato’, affaristico, da ‘pescicani’ insomma, invece spessissimo presente nei prodotti di quel trasformismo che per il nostro Riccardo Cerulli (ma chiaramente non solo per lui) è un approdo tipicamente italiano. Il suo è piuttosto, per mutuare una espressione cara a Raffaele Colapietra, un ‘fascismo onesto’, né più né meno come quello di Vincenzo Bindi, la cui adesione è del 1923, lontano dai giochi di potere e dalle camarille. La sua coerenza, praticata con l’ingenua costanza propria dell’intellettuale, ad un ben definito sistema valoriale – che poi rimanda ad una certa visione diremmo ‘romantica’ della vita tanto diffusa nell’ambiente militare – non porterà il Manocchia a ricoprire cariche pubbliche, né in questa prima fase del fascismo, né durante (e difatti il suo nome non compare tra i candidati del Fascio Giuliese di Combattimento per le elezioni della primavera 1925), ma neppure dopo. Gli unici incarichi che il Manocchia assumerà, saranno infatti quelli tutto sommato ‘indolori’ ed innocui legati al mondo dei combattenti, dal quale egli proviene e al quale è fortemente legato. Nel 1924, rimessosi da una grave malattia che gli comprometterà per sempre il polmone destro, il Manocchia – dall’anno precedente insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia – torna alla sua congeniale attività di scrittore pubblicando per la TALIA di Giulianova (la Tipografia Artistica Libraria Industriale Abruzzese impiantata nel febbraio del 1920 da Giulio Braga, nipote del musicista Gaetano, e dal ventitreenne Mario Leone, figlio del musicista e compositore Luigi, apprezzato direttore della gloriosa banda cittadina, nonché fratello del più noto Leo20) un suo nuovo lavoro, Quando c’era la guerra, una fortunata raccolta di scritti di guerra – alcuni dei quali peraltro già pubblicati nella rivista “L’Abruzzo”21- che può vantare la prefazione di Ettore Moschino, poeta e bibliotecario della Provinciale “S. Tommasi” dell’Aquila e già direttore de “Il Rinascimento”, una raffinata rivista nata a Milano nel 1905 che aveva coagulato i più bei nomi della cultura coeva22.
Insieme con alcuni medaglioni su personaggi locali pubblicati nel bisettimanale “Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise”, in una nuova rubrica che ospita oltre alla sua le illustri firme di Luigi Illuminati, Amedeo Finamore, Luigi Bologna, solo per citarne alcune23, altri lavori letterari il Manocchia pubblica sempre nel 1926 in “Terra Vergine”, il quindicinale montoriese di carattere culturale diretto dal giovane avvocato Goffredo Martegiani. Sulle pagine della bella ma sfortunata rivista che, tra gli altri, raccoglie anche gli interventi di un altro giuliese ben più noto, il professor Vincenzo Bindi (ma vanta altri importanti collaboratori, come Carlo d’Aloisio da Vasto e Luigi Brigiotti), compare nel numero del marzo 1927 il racconto Luce nell’ombra24, col quale il Manocchia aveva conquistato in quello stesso mese il primo posto nel concorso indetto dalle Accademie di Genova e Trieste di scienze e lettere su oltre duecento concorrenti.
A fronte di un impegno intensissimo, sia sul versante giornalistico (dal ’27 aggiunge alle numerose testate alle quali collabora anche “L’Italia Centrale”, il noto periodico teramano diretto da Giovanni Fabbri), quanto su quello più squisitamente culturale (e non andrebbero dimenticate le tante conferenze che lo vedono protagonista, compresa quella che, in occasione dei festeggiamenti per la Madonna dello Splendore del 1928, tiene nel piazzale del convento su “La Verna e Santo Francesco”25), nel periodo che si distende tra la prima metà degli anni Venti ed i Trenta il Manocchia, che pure avvia una autonoma attività economica aprendo al Paese una sua Cartoleria, raccoglie una serie fittissima di riconoscimenti. Viene così nominato Presidente della sezione abruzzese della Società dei Giovani Autori di Milano, poi della stampa locale; quindi viene insignito della carica di Vice-Presidente Generale dell’Accademia Scienze e Lettere di Genova presieduta dal prof. Della Vecchia e, in seguito, di Ispettore onorario per l’Abruzzo dell’Istituto Culturale “Ausonia” di Milano. Nel gennaio del 1928 per volere dell’onorevole Carlo Del Croix, Francesco Manocchia – che di qui a un mese tornerà a riorganizzare la sezione combattenti di Giulianova dietro incarico del presidente della Federazione Giacomo Franchi26, per poi lasciarne la presidenza al locale Commissario del Fascio Domenico Trifoni27 - viene nominato fiduciario per la provincia di Teramo della casa editrice Vallecchi di Firenze28. Sempre nel 1928, nel mese di dicembre, il Senato Accademico della Università Schönbrunner Schlob di Vienna – che tra i suoi docenti annovera il prof. Giorgio Giuseppe Ravasini - con suo decreto conferisce allo scrittore giuliese la qualità di Membro Onorario della Vald University29, cui segue, nel 1930, la nomina come “Membro a vita” della Società Acadèmique d’histoire internazionale di Parigi, una delle maggiori istituzioni accademiche francesi30. Proprio nell’estate del 1930 escono quasi contemporaneamente due periodici di cronaca balneare diretti dal Manocchia: “Il Kursaal Lido” e “Il Lido”31, entrambi di Giulianova. Il primo, di poco anteriore, viene stampato dalle Arti Grafiche Braga e, nel suo numero d’esordio del 15 agosto, si propone come Organo...ufficiale dei bagnanti giuliesi, precisando nel Saluto che «A questi villeggianti, qui riversatisi da ogni parte d’Italia, il nostro Numero Unico sente il dovere di porgere il suo primo saluto ospitale [...]. Il nostro compito è quello di segnare sulla carta tutte le bellezze, i sogni, le speranze passanti per la nostra spiaggia in questa estate di sole». Aderente agli obiettivi perseguiti, “I1 Kursaal” contiene rubriche dedicate alla corrispondenza dei lettori (“lettere”), ai “Dialoghi colti al volo” e a piccoli aneddoti scherzosi su noti personaggi locali che animavano le spensierate serate estive (“Colpi di lingua! Ciò che si vede e non si vede al Kursaal”).
Non dissimile appare “Il Lido di Giulianova”, anch’esso di quattro pagine - nelle quali, tuttavia, compaiono caricature e disegni -, stampato dalla tipografia T.A.L.I.A. e nato con intenti sostanzialmente ludici e di disimpegno, come agevolmente si coglie nella Presentazione: «Nella vita breve l’anima è satibonda, bisogna perciò farla correre per abbeverarla di freschezza e di sorrisi. Questo vogliamo noi procurarvi, lettori e lettrici gentili, con espressioni di pensieri informati al bello e al Buono; con aneddoti allegri, con spunti di spirito, con gentili tocchi su persone di buon senso e di buon gusto; senza litigi, snelli e leggeri, prendendo dalla sorgente del vero». Anche qui gli aneddoti vengono affidati ad una rubrica, “A punta di penna del prof. Scocco”. Nonostante l’inciso scherzoso che accompagna l’esordio del foglio estivo giuliese (Numero più unico che raro), quello de “Il Lido” è un esperimento giornalistico che verrà riproposto almeno sino al ‘39. Modificando parzialmente il titolo, numeri “unici” del foglio balneare vengono pubblicati nell’estate del 1931 (dapprima, conservando l’originaria testata, come numero unico del 14 luglio, poi “Il Lido Abruzzese”, secondo numero unico della stagione del 29 luglio; “I1 Lido Adriatico”, terzo numero unico della stagione del 20 agosto; “II Lido Illustrato”, uscito il 27 settembre 1931, tutti stampati presso lo stabilimento delle Arti Grafiche Braga), nell’agosto del ‘32 e nell’estate del ‘36 con un ritorno a “Il Lido” e, infine, come “I1 Lido Estivo” (stampato a Teramo dalla Tip. Economica ne1 ‘39). Intanto nel 1935 la casa editrice “Sorrisi d’Arte” di Gravina di Puglia con una presentazione di Saverio Fineo ripropone in seconda edizione la commedia La signorina Bonella insieme con il bozzetto La via dell’anima32, mentre pressoché contemporaneamente per l’editore Giuseppe Intellisano di Catania esce Figli migliori di nostra terra, una serie di “medaglioni” agiografici relativi a noti esponenti della vita cittadina giuliese che il Manocchia raccoglie in volume dopo essere stati pubblicati su varie riviste, soprattutto nel “Risorgimento d’Abruzzo e Molise”.
Il tracciato esistenziale e creativo del Manocchia, come abbiamo visto ricco di risultati di non poco momento e di non trascurabile interesse – se non altro perché sinora totalmente disconosciuti o affatto ignorati –, termina tragicamente alle ore 12,45 di martedì 29 febbraio 1944, quando una formazione di aerei statunitensi riversa sull’agglomerato di case del centro di Giulianova Paese un enorme quantitativo di bombe di grosso calibro, con violenza assolutamente superiore rispetto alle precedenti 48 incursioni. In uno scenario da inferno dantesco dominato sinistramente da scheletri di case con resti di muri in bilico e persone piangenti, il tenente dei Carabinieri Osvaldo Tentarelli, comandante interinale della Compagnia giuliese, qui subito accorso insieme con i suoi militi, estrae dalle macerie ancora fumanti di polvere di alcune abitazioni situate alle spalle dell’attuale edificio comunale i corpi delle prime tre di una lunga serie di vittime. Tra quei poveri corpi senza vita, quello del cavalier Francesco Manocchia.
NOTE
* Il presente intervento sviluppa e meglio definisce la parte relativa alla intensa e poliedrica attività di Francesco Manocchia contenuta nel nostro recente lavoro intitolato Dalla redingote all’orbace. Giornali e giornalisti a Giulianova dalla fine dell’800 al Ventennio, pubblicato nel volume degli Atti del Convegno Nazionale di studi organizzato dall’Università di Chieti Giornali e riviste in Abruzzo tra Otto e Novecento, a cura di Gianni Oliva, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 156-159.
L’Autore ringrazia, per la gentile collaborazione riservata, il dott. Ludovico Raimondi - il cui aiuto è stato preziosissimo - ed i signori Pasquale Chiappini e Leo D’Angelo, rispettivamente Direttore e bibliotecari della Biblioteca Civica “V. Bindi” di Giulianova, oltre ai dottori Luigi Ponziani, Fausto Eugeni e Marcello Sgattoni, rispettivamente Direttore e bibliotecari della Biblioteca Provinciale “M. Delfico” di Teramo.
1 Cfr. in proposito Servizio Studi della Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato di Teramo, Popolazione residente ai censimenti nei comuni della provincia, sub Giulianova
2 Riccardo Cerulli, Giulianova 1860, Teramo, “Abruzzo Oggi”, 19682, p. 316
Sul Contaldi, oltre al sintetico profilo bio-bibliografico contenuto in Sandro Galantini, Le “difficili conquiste”. Cultura umanistica, arte e storia a Giulianova tra Seicento e Ottocento, in Centri dell’Abruzzo, Sulmona, Premio “Filomena Carrara”, 1996, pp. 48 e ss., cfr. i due recenti interventi di Leo Marchetti, Francesco Contaldi traduttore e poeta, in Poeti traduttori esteti, a cura di Leo Marchetti, Giulianova, Centro di Servizi Culturali, 1998, pp. 7-22 e Francesco Contaldi traduttore di S.T. Coleridge, estratto da “Traduttologia”, 1999
3 Sulla “Rivista Minima” e sul suo ideatore Francesco Contaldi si rimanda da ultimo a Sandro Galantini, La stampa periodica a Giulianova dal periodo postunitario alla prima metà del Novecento. Note e indicazioni, in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria”, a. LXXXV [1995], pp. 440-447. Battista De Luca, avvocato civilista e, dal 1881, Vice-presidente della Banca mandamentale cooperativa di Giulianova, come poeta aveva esordito pubblicando nel 1873 una raccolta di versi intitolata Triste dramma (Napoli, V. Basile e C., 1873), e sempre in qualità di letterato avrebbe poi collaborato con la prestigiosa “Rivista Abruzzese”.
4 Per una panoramica in extenso sulle attività produttive a Giulianova in questo torno di anni si rimanda all’ancora preziosa indagine di Pasquale Ventilii, Industria, in Monografia della Provincia di Teramo, volume III, Teramo, Giovanni Fabbri Editore, 1893, p. 259 ss., ora disponibile nella ristampa realizzata nel 1995 dalla Edigrafital SpA di S. Atto
5 Su questa rivista cfr. la scheda in Ugo De Luca, Mario Zuccarini, Catalogo dei periodici abruzzesi posseduti dalla Biblioteca Provinciale «A.C. De Meis» di Chieti, Chieti, s.e., 1971, p. 179. E’ interessante notare che questo settimanale, di vocazione interregionale, sosterrà fervidamente la prima guerra mondiale, come successivamente la lista fascista nelle elezioni politiche del 1924. Qui oltretutto compare la firma di quell’Ettore Moschino che – lo vedremo in prosieguo – firmerà la prefazione ad un lavoro del Manocchia. Altri utili rilievi in Carmelita Della Penna, La stampa abruzzese di informazione nell’età giolittiana, in Giornali e riviste in Abruzzo tra Otto e Novecento, Atti del convegno a cura di Gianni Oliva, Roma, Bulzoni, 1999, p. 330. Quanto al ruolo del Vicoli nella cultura napoletana e chietina cfr. Raffaello Biordi, Gabriele D’Annunzio e la terra d’Abruzzo, Roma, Palombi, 1967, pp. 99-102
6 Il gruppo si era costituito ufficialmente ai primi di marzo del 1915. Cfr. “L’Italia Centrale”, 8-9 maggio 1915 e Filippo Paziente, I socialisti abruzzesi e il problema della guerra (1911-1917), in “Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza”, a. III [1982], n. 2, spec. p. 262
7 Cfr. “La Provincia di Chieti”, 14 marzo 1915 e Raffaele Colapietra, Pescara 1860-1960, Pescara, Costantini Editore, 1980, p. 272
8 Cfr. “L’Indipendente”, 23 maggio 1915 e Raffaele Colapietra, Pescara, cit., p. 273
9 Su questo settimanale di politica, scienza, arte e letteratura – come recita il sottotitolo – diretto da Andrea Saviello, insieme col nostro Manocchia scrivono e scriveranno alcuni importanti giornalisti dell’epoca, come Teodorico Marino e Maturino De Sanctis, ma anche poeti di vaglia come Luigi Dommarco, Rosmunda Tomei Finamore e Domenico Tinozzi. Anche questo periodico sposerà l’interventismo e diverrà manifestamente fascista a partire dal 1922, dopo aver sostenuto in occasione delle elezioni politiche del maggio 1921 la lista dei combattenti della quale facevano parte, tra gli altri, Giacomo Acerbo. In argomento cfr. ancora Ugo De Luca, Mario Zuccarini, Catalogo dei periodici abruzzesi, cit., pp. 121-123
10 Luigi Ponziani, Due secoli di stampa periodica abruzzese e molisana, Teramo, Interlinea, 1990, p. 57 ad nomen
11 Milano, Società dei Giovani Autori, 1920
12 Su questo periodico che muterà in seguito la testata in “L’Indipendente”, cfr. Associazione Italiana Biblioteche, Catalogo dei periodici delle biblioteche lombarde, vol. III, Milano, Comune di Milano, 1967, p. 300 ad nomen
Su “Il Popolo d’Italia” si rimanda all’ampia indagine di Valerio Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al Fascismo, Bari, Laterza, 1970, pp. 55-273
13 Sugli avvenimenti giuliesi di questo periodo si rinvia al sintetico ma penetrante saggio di Tito Forcellese, Giulianova tra reazione e rivoluzione. Note e appunti, in Vincenzo Cermignani. Vita d’Artista, Giulianova, Comune di Giulianova (Assessorato alla Cultura) – Centro di Servizi Culturali della Regione Abruzzo, 1997, pp. 63-75. Un inquadramento generale è in Luigi Ponziani, Lotte agrarie nel primo dopoguerra: la nascita del fascismo a Teramo, in “Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza”, a. I [1980], n. 3, pp. 87-108
14 “Il Risorgimento d’Abruzzo”, 25 ottobre 1919
15 Sul ruolo giocato da Acerbo in seno alla costituzione dell’Associazione Combattenti abruzzese e della Federazione provinciale di Teramo, della quale Acerbo sarà il delegato, e sulle elezioni del 1919 si rimanda a Luigi Ponziani, Le elezioni del 1919 a Teramo. Lotte politiche e sociali, Teramo, Libera Università Abruzzese degli Studi “G. d’Annunzio”, 1977.
16 Francesco Manocchia, Quando c’era la guerra, in “Il Compendio”, a. IV [1921], n. 3
17 In argomento cfr. Filomena Di Cicco, Laura Salvatori, Carmelina Tordone, La «Settimana abruzzese» a Pescara nel 1923, in “Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza”, a. II [1981], n. 3, spec. p. 55 e ss.
18 Per una scheda di questa rivista cfr. Luigi Ponziani, Due secoli di stampa periodica, cit., p. 30 ad nomen e, per altri utili rilievi, Umberto Russo, Le riviste abruzzesi, un patrimonio di cultura e storia, in Almanacco abruzzese 1994, Pescara, Ediars-Oggi e Domani, 1993, pp. 371-372. A “L’Abruzzo”, che dopo le prime due annate nel 1922 trasferirà la sua redazione a Città S. Angelo, collaborarono importanti nomi della cultura regionale come Cesare De Titta, Luigi Illuminati, Ettore Allodoli, Giovanni De Caesaris ed altri. Il direttore Ernesto Capuano era uno dei membri, insieme col prof. Davide De Berardinis, Umberto Lombardi, Mario D’Alessandro e Nino Nanni del Comitato provinciale dei fasci di combattimento del 1921. Su questi personaggi e sul ruolo da loro giocato nell’espansione del fascismo nella provincia teramana si rimanda a Luigi Ponziani, La scissione del partito socialista e la violenza squadristica: il fascismo in provincia di Teramo, in “Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza”, a. II [1981], n. 2, p. 28 e ss.
19 Su questo periodico aquilano che nell’estate del 1922, dopo vivaci polemiche redazionali, si orienta verso un nazionalismo antifascista e anticlericale, così caratterizzandosi come una voce eterodossa nell’ambito del contemporaneo giornalismo regionale, si rimanda a Walter Capezzali, Giornali aquilani dall’Unità d’Italia alla Repubblica, L’Aquila, Editoriale Abruzzo, 1976, p. 69 e a Luigi Ponziani, Due secoli di stampa periodica, cit., p. 51 ad nomen. Vedasi anche, per altri pertinenti rilievi, Luigi Ponziani, Notabili combattenti e nazionalisti. L’Abruzzo verso il fascismo, Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 230-231
20 Mario Leone, alla fine del 1930 trasferitosi per difficoltà economiche a Ortona, dove impianterà una propria tipografia, verrà arrestato nel 1931 perché accusato di attività antifascista. Cfr. la sezione “documenti” in “Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza”, a. III [1982], n. 2, p. 315 ss.
21 E’ il caso del racconto Sergio il Montanaro che compare su questa rivista nel numero 1-2 del gennaio-febbraio 1922, insieme con la sua poesia intitolata Dormiveglia (pel bimbo mio)
22 In argomento Carmine Chiodo, La rivista della Libreria Editrice Lombarda: « Il rinascimento» di Ettore Moschino, in Giornali e riviste in Abruzzo, cit., pp.357-394. Ettore Moschino (1867-1941), aquilano, legato da affettuosa amicizia a Gabriele d’Annunzio, ebbe personalità varia e complessa: giornalista apprezzatissimo, drammaturgo, librettista, narratore, saggista, bibliotecario, conferenziere. Alla morte, che lo colse a Roma, la stampa nazionale ebbe per lui parole di grande ammirazione. Sulla sua attività letteraria cfr. Vittoriano Esposito, Parnaso d’Abruzzo, Roma, Edizioni dell’Urbe, 1980, pp. 69, 79.
23 La rubrica è “Nell’angolo del focolare”, inaugurata nel dicembre 1924. In argomento cfr. Luigi Ponziani, Due secoli di stampa periodica, cit., p. 150 ad nomen
Relativamente alle vicende genetiche ed alla rete di collaborazioni di “Terra Vergine” cfr. Fausto Eugeni, Tentativi di rifondazione della “Rivista Abruzzese” (1923-1927), in Don Giulio Di Francesco. Sacerdote Insegnante e Storico Teramano. Testimonianze e Contributi, a cura di Adelmo Marino, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche, 1994, pp. 166-171
24 Cfr. “Terra Vergine”, a.II [1927], n. 22, pp. 6-13
25 Se ne veda il sintetico resoconto apparso ne “L’Italia Centrale”, 3-4 maggio 1928
26 Cfr. “L’Italia Centrale”, 23-24 febbraio 1928
27 Cfr. “L’Italia Centrale”, 28-29 luglio 1928
28 Cfr. “L’Italia Centrale”, 20-21 gennaio 1928
29 In argomento cfr. ancora “L’Italia Centrale”, 19 dicembre 1928
30 Cfr. “L’Italia Centrale”, 17 marzo 1930
31 Su ambedue le testate si rimanda a Sandro Galantini, La stampa periodica a Giulianova dal periodo postunitario alla prima metà del Novecento. Note e indicazioni, cit., pp. 471-472
32 Gravina di Puglia, Casa ed. “Sorrisi d’arte”, 1935
Cfr. in argomento Giulio Di Michele, Giulianova 1943/1944 – Piccola cronistoria, in “La Madonna dello Splendore”, 11, 1992, p. 65, ora anche ne Il cerchio inconchiuso. Momenti di storia giuliese attraverso le pagine della rivista «La Madonna dello Splendore» (1982-1995), a cura di Sandro Galantini, Teramo, Demian Edizioni, 1995, p. 84. E’ appena il caso di rilevare che la data segnalata da Di Michele appare la più fededegna, essendo confermata dal certificato di morte del Manocchia conservato negli atti di stato civile del Comune di Giulianova, nonché dal rapporto redatto dal primo capitano Giulio Rosignoli della Guardia Nazionale Repubblicana, Gruppo ex Carabinieri di Teramo, in data 20 marzo 1944 (n. 66 di Prot. Div. II^) ed inviato al Comando della 135^ Legione Guardia Nazionale Repubblicana la cui fotocopia è conservata nella Biblioteca “P. Candido Donatelli” in Giulianova.
Si ringrazia, per il saggio del dott. Sandro Galantini, l'autore e Umberto Raimondi di www.giulianovaewb.it

Nessun commento: